Il carnevale impazza: l’Atalanta a Bergamo beffata dal Lecce
Nella 23ma giornata della Serie A la Roma batte 1-0 il Verona all’Olimpico e sale al terzo posto, la Lazio vince 2-0 in trasferta contro la Salernitana
A Carnevale ogni scherzo vale. Bisogna notare una cosa: nel campionato, a parte la capolista Napoli che ormai fa storia sé, il carnevale impazza. C’è sempre qualche sberleffo in agguato, qualche burla che non aspetti. Di solito questo ruolo impertinente spetta ad Arlecchino, che come tutti sanno è una antica maschera bergamasca. Questa volta però a restare con le pive nel sacco è proprio Arlecchino, alias Atalanta, che davanti ai suoi tifosi è stato sbeffeggiato dal Lecce (1-2), sfidante dignitosissima, ma pur sempre ingolfata nei bassofondi della classifica. Niente a che vedere con l’Atalanta, squadra una volta definita “provinciale”, ma da tempo assurta ai piani nobili del torneo. Una società che con una crescita oculata e virtuosa è arrivata dar fastidio ai Signori del calcio.
Detto questo, la caduta casalinga della squadra di Gasperini, alla sua 250esima panchina in A coi nerazzurri, è abbastanza clamorosa. Tutti a parlarne bene, a magnificarne il suo gioco spumeggiante e i suoi possibili record, e poi, quando è il momento di arrivare al dunque, ecco il pesante tonfo con i salentini. Una cosa brutta perché i sogni dell’Atalanta si sono infranti dopo soli quattro minuti, grazie a una sassata da 25 metri di Ceesay finita nell’angolino della porta di Musso. Andar in svantaggio quando il pubblico non si ancora seduto, non è un bel viatico per una squadra ambiziosa che vuole fare le scarpe ai padroni del calcio. Debole anche la reazione. Presa la bastonata, il nostro Arlecchino è rimasto suonato per quasi tutto il match subendo il raddoppio del Lecce, realizzato nella ripresa da Blin, lasciato indisturbato. Solo nel finale, grazie a una topica del portiere Falcone, i bergamaschi hanno accorciato le distanze con Hojlund.
Ma dove è finita la magnifica Atalanta che ha umiliato la Lazio all’Olimpico? Mistero. Mistero non svelato. Vero che il Lecce ha fatto tremare molte grandi, e che il tecnico salentino, Marco Baroni, sta facendo un ottimo lavoro, però c’è qualcosa di misterioso che ogni tanto stoppa la lunga marcia dell’Atalanta. Sembra quasi che, sul più bello, quando ormai la tavola è apparecchiata, nell’Atalanta si risvegli il solito Arlecchino, più interessato a far scherzi da servitore che a diventar padrone. La prossima sfida sarà col Milan, in lenta ma costante guarigione. Una interessante cartina di tornasole sullo stato di salute di entrambe.
L’Inter torna a vincere
Dopo il passo falso col Genoa, la squadra di Inzaghi è tornata al successo contro l’Udinese (3-1). Diciamo che è una vittoria bene augurante in vista del Porto, il prossimo avversario di Champions dei nerazzurri. Se sarà un mercoledì da leoni lo vedremo. Con i friulani, non irresistibili, è stato una sabato da orsachiotti, come avrebbe detto Massimo Troisi. Di buono c’è stato il ritorno al gol di Lukaku, dopo 189 giorni di astinenza. Un gol su rigore, per giunta ripetuto (il primo l’aveva sbagliato) per una irregolarità rilevata dal Var. Meglio che niente. Una volta all’Inter dicevano: gigante, pensaci tu. Ora è il contrario: sono gli altri a tener su Lukaku. Dopo il pareggio dei friulani (Lovric 43′) l’Inter ha infatti reagito con personalità scacciando ogni paura con Mkhitaryan e Lautaro, entrato quest’ultimo nella ripresa. Inzaghi ha cercato di far rifiatare i titolari, giusto così.
Il Milan è guarito?
È la domanda che si fanno tutti. Qualcuno dice di sì, qualcun altro è più prudente. Di certo anche la striminzita vittoria sul Monza (1-0) fa bene alla classifica. Perché segue quella col Torino e anche quella in Champions con il Tottenham. Tre successi, tutti per uno a zero, che hanno messo in sicurezza una squadra che imbarcava gol come se piovesse. Un Milan diverso, prudente come i ragionieri di una volta, con un obiettivo ben chiaro: lasciarsi alle spalle quel gennaio da incubo che lo stava facendo precipitare senza paracadute. Ora il paracadute si è aperto e i risultati si vedono. È un Milan poco Milan, però. Senza fughe in avanti, con un braccino corto più da Juve che da Milan. Prima però di certificare se Pioli abbia trovato la cura giusta, è meglio aspettare qualche controprova. Se poi Leao e, soprattutto De Ketelaere, l’amico sconosciuto, ogni tanto la mettessero dentro, i pessimisti batterebbero in ritirata.
La Roma perde i pezzi ma resta terza
Domenica agrodolce per Mourinho. Che fa le nozze coi fichi secchi. Senza Dybala e Pellegrini, con Abraham che deve uscire dopo 10 minuti per un colpo allo zigomo (con ferita alla palpebra), la Roma batte il Verona con un diagonale del norvegese Solbakken ben servito da Spinazzola (45′). Una partita tignosa, senza pezzi pregiati, salvata proprio da quel Solbakken (all’esordio da titolare), che Mourinho aveva bollato come corpo estraneo, ma recuperato per necessità. Una vittoria di cuore. Stretta nella tenaglia del doppio impegno di Europa League, lo Special One ne esce con tre punti che gli permettono di restare al terzo posto con il Milan e una infermeria sempre più piena in vista del ritorno con il Salisburgo.
Eppur si muove: con Immobile la Lazio va
La notizia è questa: Ciro Immobile ha ripreso a segnare. Che non lo facesse in Nazionale lo si sapeva, nella Lazio era una spiacevole novità di quest’anno. Invece, dopo essersi sbloccato in Coppa, Ciro ha rotto il digiuno con una doppietta anche in campionato, dove non segnava da 5 turni. E così anche la Lazio si è rimessa in moto dopo la caduta con l’Atalanta e una serie di prestazioni deludenti. Un successo legittimo, quello biancoceleste, che riaccende le sue ambizioni per la Champions. Male, invece, la Salernitana. Peggior debutto per Paulo Sosa non poteva esserci: in tre giorni non si fanno miracoli, però qualche buona azione è auspicabile.
Nonno Max al settimo cielo
Max Allegri è molto contento: non solo per l’arrivo del nipotino Filippo, uno dei pochi che ancora non lo critica, ma per come la Juventus ha battuto (2-0) lo Spezia. Un gol per tempo (Kean e Di Maria) e tanti saluti ai soliti rosiconi. La Juve, con due tiri in porta, ottiene il massimo risultato portandosi al settimo posto, che non è il settimo cielo, ma è pur sempre un passo avanti nella risalita dagli abissi. Una Juventus come piace ad Allegri: cinica e bruttarella, rigorosamente non spettacolare. Ora bisogna rivederla anche in Champions, dove non è sempre Spezia.
Napoli acchiappatutto
Mettiamo in basso la squadra di Spalletti perchè ormai non fa più notizia. Settimana dopo settimana, macina record e avversari. Venti vittorie su ventitré partite in campionato dicono tutto. Il divario con gli inseguitori (ma inseguono?) è così ampio che diventa difficile fare paragoni perché il Napoli non solo domina il campionato ma fa paura anche in Europa. I tedeschi dell’Eintracht, dopo aver visto all’opera Osimhen e Kvaratshelia col Sassuolo (0-2), sono fortemente preoccupati per questa strana coppia, un nigeriano e un georgiano, che fa scoppiare solo gli avversari. Due gioielli sostenuti da un gruppo che si muove a memoria. Con una tale scioltezza che tutto riesce facile, anche quei gol che ad altri non entrerebbero mai. Nella sua storia europea il Napoli non è mai andato oltre agli ottavi. Ecco un’altra occasione per centrare un nuovo record. Il vento è favorevole.
Addio a Castagner, perugino all’olandese
I più giovani non lo ricordano, ma Ilario Castagner è stato un grande. Sia come uomo, sia come allenatore. Sempre cordiale, sempre con il sorriso sulle labbra, pur avendo dovuto guidare squadre impegnative come Milan e Inter. Ma il suo colpo d’ala lo realizzò col Perugia nella stagione 1978-79. Il Perugia dei miracoli perché mai una squadra, prima degli umbri, aveva terminato il campionato senza una sconfitta. Con il Perugia, con giocatori come Walter Novellino e Salvatore Bagni, Ilario Castagner lasciò la sua firma nella storia del calcio. Un calcio allegro, votato all’attacco, un po’ olandese, un po’ perugino.